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La Cassazione sugli “atti di immistione” del socio accomandante di s.a.s.: non lo sono la prestazione di garanzie e il prelievo di fondi dalla casse sociali

FONTE: NETWORKMULTIPROFESSIONALE.COM

Nota A Cass. Civ., Sez. I,  n. 13468 del  03.06.2010

La Suprema Corte, I Sezione Civile, con sentenza 13468 del 3.6.2010, con riferimento alla norma di cui all’art. 2320 c.c., che vieta ai soci accomandanti di s.a.s. i cosiddetti “atti di immistione” (cioè di forte ingerenza nella gestione sociale), pena l’estensione ad essi accomandanti della responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali e con riferimento, inoltre, alla norma di cui all’art. 147 L. Fall., che estende al socio illimitatamente responsabile il fallimento della società, ha ritenuto che la prestazione di garanzie e il prelievo di fondi dalle casse sociali per le esigenze personali (quand’anche quest’ultimo sia indebito o addirittura illecito) non integrano atti di ingerenza nell’amministrazione.
Tizio e Caia, coniugi, erano rispettivamente socio accomandatario e socio accomandante della Alfa s.a.s., che fu dichiarata fallita. Caia, per aver prestato sistematicamente garanzie e sostegno finanziario, anche mediante una sua impresa individuale, alla Alfa s.a.s. e per aver, d’altro canto, effettuato prelievi indebiti di denaro dalle casse sociali mediante un “fondo prelevamento soci”, era stata ritenuta dal Tribunale decaduta dal beneficio della limitazione di responsabilità e dichiarata fallita ex art. 147 L. Fall.. La questione fu portata all’attenzione della Corte d’Appello, a seguito di opposizione al fallimento proposta da Caia in contraddittorio col creditore istante, e la Corte di merito ne revocò il fallimento, ritenendo che gli atti compiuti da Caia non fossero manifestazione di un’attività di gestione degli affari sociali. La sentenza d’appello fu impugnata tanto dal creditore quanto dal Fallimento. La Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello, ritenendo che non si fosse in presenza di “atti di immistione”. La S. C. ha preliminarmente richiamato un suo orientamento in base al quale l’esistenza del rapporto sociale, anche ai fini del fallimento in estensione ex art. 147 L. Fall., “può risultare da indici rivelatori quali le fideiussioni e i finanziamenti in favore dell’imprenditore, allorquando essi – ancorché riguardanti il solo momento esecutivo dei rapporti obbligatori della società – siano, per la loro sistematicità e per ogni altro elemento concreto, ricollegabili ad una costante opera di sostegno dell’attività di impresa, qualificabile come collaborazione di un socio al raggiungimento degli scopi sociali” (Cass. 16.3.2007 n. 6299), tuttavia ha precisato che, nel caso in esame, il problema portato all’attenzione di essa Corte non era quello di stabilire se Caia avesse o meno la qualità di socio – il che era fuori discussione – ma se essa avesse il ruolo di amministratore e gestore della società. Afferma ancora la Corte che la stessa statuizione della qualità di socio occulto non è sufficiente per far presumere la qualità di accomandatario, tenuto conto che in base all’art. 2320 c.c. l’accomandante diviene illimitatamente responsabile “solo ove contravvenga al divieto di compiere atti di amministrazione (intesi questi ultimi quali atti di gestione, aventi influenza decisiva o almeno rilevante sull’amministrazione della socirtà, non già atti di mero ordine o esecutivi) o di trattare o concludere affari in nome della società” (Cass. 25.7.1996 n. 6725), solo ove compia “attività gestoria che si concreti nella direzione degli affari sociali, implicante una scelta che è propria del titolare dell’impresa” (Cass. 172/1987, 4824/1986, 6906/1982, 3563/1979). Nel caso specifico, conclude la Corte, la prestazione di garanzie “attiene evidentemente al momento esecutivo delle obbligazioni” – quindi non è atto di gestione come sarebbe, invece, l’assunzione di un’obbligazione – mentre “il prelievo di fondi dalle casse sociali per le esigenze personali del socio, quand’anche indebito o addirittura illecito, non costituisce certamente un atto di gestione della società”.

Milano, 29.09.2010 Avv. Maria Gabriella Quadri

Cassazione civile, Sez. I, 03.06.2010 n.13468

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 9 marzo 1998 il Tribunale di Verona dichiarò il fallimento di S.F. quale socia accomandante della fallita s.a.s.

Cima, di cui il marito D.B.G. era socio accomandatario, nel presupposto che, in violazione dell’art. 2320 c.c., la signora si fosse ingerita nell’amministrazione della società, cui aveva sistematicamente prestato garanzie e sostegno finanziario, anche con la sua impresa individuale, effettuando peraltro indebiti prelievi di denaro dalle casse sociali tramite un fondo prelevamento soci.

L’opposizione al fallimento proposta da S.F., anche in contraddittorio con la creditrice Vimatex s.p.a., fu respinta in primo grado, ma fu accolta dalla Corte d’appello di Venezia con la sentenza ora impugnata per cassazione, che ne revocò il fallimento.

Ritennero i giudici d’appello:

a) i fatti posti a fondamento della sentenza di fallimento erano certamente indicativi di una affectio societatis, peraltro non controversa, ma non valevano a giustificare la dichiarazione di decadenza di S.F. dal beneficio della limitazione della responsabilità propria del socio accomandante, perchè non erano manifestazione di un’attività di gestione degli affari sociali; b) era palesemente inammissibile la pretesa del curatore di valutare gli stessi fatti come indicativi di una società irregolare tra S.F. e il marito D.B.G. o di ribadire comunque il fallimento di S.F. quale imprenditrice individuale, perchè la L. Fall., art. 15, nel testo risultante dalla sentenza costituzionale n. 141 del 1970, preclude la possibilità di dichiarare il fallimento per presupposti diversi da quelli contestati preventivamente al debitore. Contro questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la creditrice Vimatex s.p.a., con due motivi d’impugnazione, illustrati anche da memoria, e il Fallimento di S.F., con due motivi d’impugnazione.

Resiste con controricorso S.F., che ha proposto altresì ricorso incidentale condizionato. Non hanno spiegato difese invece gli altri creditori intimati.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi proposti avverso la stessa sentenza vanno riuniti; ma esigono una trattazione separata i motivi che li sostengono.

2. Con il primo motivo del suo ricorso la Vimatex s.p.a. deduce violazione della L. Fall., art. 18. Sostiene che, avendo promosso il fallimento della Cima s.a.s. e non quello di S.F., richiesto dal curatore, l’opposizione proposta da S.F. le fu notificata erroneamente, peraltro per ordine del giudice istruttore. Eccepisce perciò il proprio difetto di legittimazione passiva nel giudizio.

Con il secondo motivo la Vimatex s.p.a. deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., ed errata applicazione dell’art. 92 c.p.c..

Sostiene che, dopo il suo intervento nel giudizio di opposizione promosso da S.F., l’opponente non formulò conclusioni nei suoi confronti, neppure ai fini delle spese processuali. Sicchè era illegittima la sua condanna alle spese del giudizio.

Il ricorso è manifestamente infondato. Secondo la giurisprudenza di questa corte, infatti, “i creditori istanti per il fallimento di società di persone o imprenditore individuale, assumono la posizione di litisconsorti necessari nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di fallimento proposto dal socio illimitatamente responsabile, cui sia stato esteso il fallimento della società di persone o il fallimento del socio, ritenuto inizialmente un imprenditore individuale” (Cass., sez. 1^, 20 maggio 2005, n. 10693, m. 582126, Cass., sez. I, 10 luglio 2001, n. 9359, m, 548060).

D’altro canto, come risulta dallo stesso ricorso, la Vimatex s.p.a., intervenuta in giudizio per ordine del giudice, concluse per il rigetto della opposizione proposta da S.F. e per la condanna dell’opponente a rimborsarle le spese. Non rileva pertanto che S.F. non formulò conclusioni specifiche contro la Vimatex s.p.a., ma rileva che la società creditrice chiese il rigetto dell’opposizione. E la soccombenza della Vimatex s.p.a. rispetto a questa sua richiesta ne giustifica la condanna alle spese.

3.1 – Con il primo motivo del suo ricorso il Fallimento S. F. deduce violazione della L. Fall., art. 147, e art. 2320 c.c..

Sostiene che erroneamente i giudici del merito abbiano escluso la rilevanza delle sistematiche prestazioni di garanzia da parte di S.F. quali manifestazioni della sua ingerenza nella gestione della società garantita. E aggiunge che anche i prelievi dalle casse sociali operati dalla S.F. dovessero essere considerati come atti di disposizione del patrimonio sociale.

Il motivo è infondato.

Non v’è dubbio, infatti, che “l’esistenza del rapporto sociale, anche al fine della dichiarazione di fallimento del socio illimitatamente responsabile a norma della L. Fall., art. 147, può risultare da indici rivelatori quali le fideiussioni e i finanziamenti in favore dell’imprenditore, allorquando essi – ancorchè riguardanti il solo momento esecutivo dei rapporti obbligatori della società – siano, per la loro sistematicità e per ogni altro elemento concreto, ricollegabili ad una costante opera di sostegno dell’attività di impresa, qualificabile come collaborazione di un socio al raggiungimento degli scopi sociali” (Cass., sez. 1^, 16 marzo 2007, n. 6299, m. 597150).

Tuttavia, come hanno ben evidenziato i giudici d’appello, non è qui in discussione la qualità di socia di S.F., è in discussione il suo presunto ruolo di amministrazione e gestione della società. E secondo la giurisprudenza di questa corte, la stessa “situazione di socio occulto di una società in accomandita semplice – la quale è caratterizzata dall’esistenza di due categorie di soci, che si diversificano a seconda del livello di responsabilità (illimitata per gli accomandatari e limitata alla quota conferita per gli accomandanti, ai sensi dell’art. 2312 c.c.) – non è idonea a far presumere la qualità di accomandatario, essendo necessario, a tal fine, accertare di volta in volta la posizione in concreto assunta da detto socio, il quale, di conseguenza, assume responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, ai sensi dell’art. 2320 c.c., solo ove contravvenga al divieto di compiere atti di amministrazione (intesi questi ultimi quali atti di gestione, aventi influenza decisiva o almeno rilevante sull’amministrazione della società, non già di atti di mero ordine o esecutivi) o di trattare o concludere affari in nome della società” (Cass., sez. 1^, 25 luglio 1996, n. 6725, m. 498754).

E’ indiscusso in realtà che, ®per aversi ingerenza dell’accomandante nell’amministrazione della società in accomandita semplice, – vietata dall’art. 2320 c.c. – non è sufficiente il compimento, da parte dell’accomandante, di atti riguardanti il momento esecutivo dei rapporti obbligatori della società, ma è necessario che l’accomandante svolga una attività gestoria che si concreti nella direzione degli affari sociali, implicante una scelta che è propria del titolare della impresa” (Cass., sez. 1^, 14 gennaio 1987, n. 172, m. 449940, Cass., sez. 3^, 28 luglio 1986, n. 4824, m. 447529, Cass., sez. 1^, 15 dicembre 1982, n. 6906, m. 424557, Cass., sez. 1^, 26 giugno 1979, n. 3563, m. 399978). E mentre la prestazione di garanzia attiene evidentemente al momento esecutivo delle obbligazioni, il prelievo di fondi dalle casse sociali per le esigenze personali del socio, quand’anche indebito o addirittura illecito, non costituisce certamente un atto di gestione della società. 3.2 – Con il secondo motivo del suo ricorso il Fallimento S. F. deduce violazione dell’art. 112 c.p.c. ed eccepisce la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia sulla richiesta della curatela di ribadire il fallimento di S. F. quale socia irregolare del marito D.B.G. o come imprenditrice individuale.

Il motivo è manifestamente infondato. Infatti i giudici d’appello non hanno omesso di pronunciarsi sulle richieste subordinate del curatore, ma le hanno dichiarate inammissibili.

E questa decisione è del tutto corretta, perchè, come ben rilevato dalla corte d’appello, è indiscusso nella giurisprudenza di questa corte che, quando la dichiarazione di fallimento abbia avuto come presupposto la qualità di socio di una determinata società di persone, “viola il principio del rispetto del contraddittorio, stabilito nella L. Fall., art. 15, la sentenza emessa all’esito del giudizio di opposizione con la quale venga riconosciuta al fallito la qualità di imprenditore individuale” (Cass., sez. 1^, 30 agosto 1995, n. 9156, m. 493804) o di socio di altra società (Cass., sez. 1^, 30 agosto 1995, n. 9156, m. 493804). Il ricorrente invoca in senso contrario il principio inquisitorio, cui era all’epoca ispirato anche in appello il procedimento fallimentare, e rileva di avere formulato già nel primo grado del giudizio di opposizione le sue richieste subordinate, riproposte poi nel giudizio d’appello.

Sennonchè non rileva qui quanto il curatore abbia dedotto nel giudizio di opposizione, in primo o in secondo grado. Rileva invece su quali presupposti del fallimento sia stata chiamata a difendersi S.F. nella fase prefallimentare; e su quali presupposti sia stata poi dichiarata fallita.

E secondo i giudici del merito, non contestati sul punto, “nel caso di specie il contraddittorio risulta instaurato esclusivamente sul presupposto specifico dell’esistenza delle condizioni di cui all’art. 2320 c.c., per la decadenza dell’odierna appellante dal beneficio della limitazione della responsabilità e della conseguente estensibilità, alla stessa, del fallimento della società ai sensi della L. Fall., art. 147, ma non anche su quelle, evidentemente affatto diverse, della coesistenza di un’autonoma società irregolare ovvero della ricorrenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi per la dichiarazione del fallimento della S. come imprenditore individuale”. 4. La decisione di rigetto di entrambi i ricorsi proposti dalla Vimatex s.p.a. e dal fallimento risulta assorbente rispetto al ricorso incidentale condizionato proposto da S.F.. A norma dell’art. 97 c.p.c., delle spese rispondono solidalmente le parti soccombenti.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta i ricorsi della Vimatex s.p.a. e del Fallimento di S.F.; e dichiara assorbito il ricorso incidentale di S.F..

Condanna la Vimatex s.p.a. e il Fallimento di S.F. in solido al rimborso delle spese in favore di S.F., liquidandole in complessivi Euro 4.200,00 di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori come per legge.

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